Competenze
Stemma
Lo stemma civico rappresenta e racconta, per immagini, la storia di Alezio. E' la metafora di un paese rinato dopo le distruzioni susseguitesi nel corso dei secoli. E, a raffigurare la resurrezione, ecco la fenice (su sfondo azzurro), mitico uccello sacro che ritorna alla vita, risorgendo dalle proprie ceneri. Quando la fenice sente sopraggiungere la fine, prepara un rogo con rami di erbe aromatiche e, al tramonto, rivolta verso il sole calante, si dà fuoco. Nove giorni dopo risorge.
Altri elementi impreziosiscono lo stemma.
Sono visibili le iscrizione Post fata resurgo ("rinasco dopo gli avversi destini") su sfondo viola e Alexias (ΑΛΙΧΙΑC) in lettere messapiche, su sfondo giallo.
In alto, una corona murale, simbolo distintivo dell'autorità della città.
Gonfalone
Lo stemma si inserisce al centro di un drappo diviso in due zone di colore: il giallo (nella parte alta) e l'azzurro (in quella bassa). I colori richiamano, invertiti nella posizione, quelli dello stemma.
Cenni storici
Fu uno dei centri della Messapia, termine greco corrispondente al Salento, indicante ciò che "sta in mezzo" in riferimento alla posizione peninsulare
Le origini
Sorto in una zona di basse alture calcaree (le Serre Salentine, largamente interessate dal popolamento preistorico) contigue a piane litoranee e favorito nell'agricoltura per la scarsa profondità di una ricca falda idrica, Alezio conobbe continuità di vita almeno dal VII sec. a.C. al VI sec. d.C., collegato al vicino scalo marittimo di Anxa - Callipolis (Gallipoli), sbocco naturale e indispensabile sullo Ionio, e attraversato da una via subcostiera, che toccava i principali centri del Salento da Taranto al Capo di Leuca a Otranto.
Per la conoscenza di Alezio antica, fonte principale di informazione è l'archeologia.
Tuttavia, scarsi sono i dati sull'insediamento, di cui nulla è rimasto in elevato; abbondanti invece i manufatti, eccezionali rispetto ai resti
di strutture e all'ampiezza delle zone a uso abitativo e sepolcrale esplorate. Manca qualsiasi dato certo concernente zone di culto e costruzioni di carattere pubblico.
Il periodo messapico
Tracce del più antico nucleo di frequentazione del sito si sono rinvenute sulla collina di Alezio, costituita da un pianoro ondulato. Sull'esempio di altri centri messapici, è ipotizzabile l'evoluzione dell'abitato a un impianto di tipo urbano, conseguenza (come l'uso della pietra per l'edilizia, della scrittura, del tornio veloce per la fabbricazione dei vasi, di particolari forme vascolari e decorative) di apporti culturali dal mondo greco.
Per analogia con altri impianti insediativi, tra la seconda metà del IV sec. a.C. e i primi decenni del secolo successivo, si avrebbe la costruzione di fortificazioni, che secondo alcuni studiosi ingloberebbero una superficie di 64 ettari circa.
È stata individuata e parzialmente indagata (scavi Soprintendenza Archeologica, 1981-1985) in un terreno agricolo a 300 metri circa a SE del moderno centro (Contrada Monte d'Elia), un'area di necropoli extraurbana riferibile all'abitato preromano, in uso tra il VI ed il III-II sec. a.C., in accordo con i dati ricavati dai rinvenimenti in altri settori dell'abitato prima del suo assorbimento nel processo di romanizzazione. Infatti, collocabili nel medesimo arco di tempo sono diverse tombe, isolate o riunite in piccoli gruppi (rinvenute durante i lavori di sterro e di sbancamento edilizio all'interno del paese), probabilmente commiste alle case, secondo l'uso comune ai centri indigeni della Puglia.
Vari tipi di sepoltura a inumazione sono attestati: in età arcaica la semplice fossa, scavata nella terra o tagliata a cassa rettangolare nella roccia (pseudosarcofago), coperta da una pietra rozzamente lavorata; a partire dal V-IV sec. a.C. il sarcofago monolitico, accuratamente squadrato, talora con gradino in rilievo sul fondo come capezzale e un unico lastrone per copertura sagomato a doppio spiovente; la cassa di lastroni, spesso di dimensioni monumentali, chiusa da blocchi parallelepipedi tra loro connessi mediante dentelli di incastro.
Nel corso del VI sec. a.C.si diffonde in Messapia l'uso della scrittura per l'adozione di un alfabeto derivato da un modello greco (Iaconico -tarentino - arcaico) con alcune innovazioni grafiche forse dovute a particolari esigenze fonetiche della lingua, che cessò di essere parlata con la progressiva diffusione del latino in seguito alla conquista romana del Salento. In passato è
stata attribuita ad Alezio l'emissione di monete d'argento di tipologia tarentina (didramma e tetrobolo) con leggenda Falethas oppure Balethas, datate alla metà del IV sec. a.C., che si tende oggi a ricondurre alla zecca di Valesio (altro importante centro messapico sito tra San Pietro Vernotico e Torchiarolo).
Aletium
Già con l'età ellenistica va sottolineato l'estendersi dell'abitato in un vasto comprensorio pianeggiante (Contrada Raggi), a E-SE del primo nucleo in altura. Sorsero complessi destinati ad attività produttive agricole e artigianali (per il rinvenimento di fornaci per ceramiche e scarichi di vario genere), che testimoniano un momento di particolare floridezza del centro.
L'esistenza di ricche aristocrazie locali sembra provata dal recente rinvenimento (alla periferia della zona Raggi) di un corredo aureo di alto valore artistico (consistente in una collana, due orecchini, due bracciali in filo e due anelli digitali), relativo alla sepoltura di una fanciulla all'interno di una tomba familiare (II-Isec. a.C.), scavata nella roccia e rivestita di lastre dipietra (semicamera). Fornisce utile
riferimento cronologico per le fasi di utilizzo e di ampliamento delle strutture in età romano - imperiale il vasellame fine da mensa, proveniente da fabbriche della Grecia, della Tunisia settentrionale e dell'Asia Minore (I-VI sec. d.C.), ritrovato in discreta quantità, insieme a ceramica acroma e comune di fattura poco accurata, nei vani a uso abitativo. Anche nel territorio circostante al centro urbano moderno si osserva la diffusione di fattorie agricole, gestite da personale servile, come è indiziato da una iscrizione latina, che ricordal'immatura morte di Germana serva di Polonus (conservata al Museo Archeologico Provinciale "S. Castromediano" di Lecce), probabilmente pertinente all'area cimiteriale di un fondo rustico.
Per l'assenza di documentazione archeologica sembra di dover cogliere un lungo intervallo di abbandono del sito tra il periodotardo - romano e la costruzione della chiesa di Santa Maria della Alizza, probabile riflesso del difficile trapasso dall'evo antico al mondo medioevale e delle spinte conquistatrici dei "barbari" contro il dominio politico dell'Impero Romano d'oriente o bizantino.
Matteo Perez
Un pittore maiuscolo, salentino, che lavorò per la scuola di Michelangelo e viaggiò per il mondo, in una straordinaria carriera veramente “rinascimentale”! Nacque ad Alezio nel 1547, ma giovanissimo partì subito dal Salento per inseguire la sua arte. Lo riconoscono erroneamente anche come Matteo da Lecce, ma lui fu semplicemente Matteo Perez d’Aleccio, come chiamavano la sua gloriosa e antica cittadina. Suo padre era di origini spagnole, Antonio Perez, sua madre Madama Lucente. Matteo giunse a Roma nel 1566, dove divenne subito un discepolo della scuola di Michelangelo.
La famosa Cappella Sistina, celebre nel mondo per il Giudizio Universale, dopo il Concilio di Trento cominciò ad avere gravi problemi statici che causarono un crollo, che uccise una guardia svizzera. Le crepe che si succedettero negli anni successivi portarono al danneggiamento di alcuni affreschi, al punto da dover essere ridipinti. Per l’occasione vennero convocati, nel 1574, Hendrick van de Broeck e il nostro Matteo. Quest’ultimo affrescò la Disputa sul corpo di Mosè, e il Sant’Antonio circondato dai demoni. Successivamente, egli ebbe altri e importanti incarichi da Papa Pio V e Gregorio XIII, divenne membro dell’Accademia di San Luca. La sua arte aveva molto in comune coi manieristi Francesco Salviati, Giorgio Vasari, e lo stesso Michelangelo. Nel 1576 decide di lasciare Roma per sbarcare a Malta, dove divenne il pittore ufficiale della grandiosa epopea che l’isola visse nel 1565, sostenendo il tremendo assedio Turco. Il Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, Jean L’Evesque de la Cassiere, premiò la bellezza e la perfezione dei suoi disegni, certificandolo eccellente nella sua professione. Nei 5 anni del suo soggiorno sull’isola, realizzò 13 grandi affreschi raccontando la battaglia contro i Turchi con una tale precisione che molti storici hanno fatto riferimento ai suoi dettagli.
Nel 1580 (per la chiesa di San Paolo, a Valletta), Matteo dipinse il naufragio di San Paolo a Malta, precisamente il momento in cui il santo pur morso da una vipera velenosa riuscì a liberarsene gettandola nel fuoco che era stato acceso per scaldare i naufraghi. Ovunque andava, sembrava che la terra gli ribollisse sotto i i piedi. “Il demone dell’andar via (scrive il Baglione), vago non tanto di colorire, quanto di vedere le opere del mondo, simile in ciò ad Ulisse, che girò per terra e per mare tutta la vita”. Dopo una decina di anni passati in Spagna, raggiunse l’America nel 1589, in Perù, a Lima, dove morirà nel 1616 quasi settantenne. Una vita degna di essere vissuta, per amore dell’arte e del viaggiare per il mondo, e per i cuori della gente.